Rise of the Planet of the Apes

In questi giorni ho rivisto il primo titolo de "Il Pianeta delle Scimmie", quello dell'86, firmato Charlton Heston: non lo ricordavo quasi per nulla e mi è piaciuto molto, il finale in particolar modo, davvero sorprendente e chiarificatore. Poi per caso ho scoperto che nel 2001 ne era stato fatto un remake da Tim Burton e ho guardato pure quello: al contrario qui, nonostante lo svolgersi delle vicende sia simile all'originale, il finale è decisamente inopportuno e fuori luogo, tanto da rovinare, secondo me, tutto il resto (il quale non è che sia poi chissà che).

Finalmente arriviamo agli inizi della saga con questo terzo episodio, in uscita nelle sale.

Tanto per cominciare direi che i voti di imdb mi trovano d'accordo: sicuramente è un bel film; per chi ancora non lo ha guardato, vorrei avvisare che la presente recensione contiene spoilers (scimmia avvisata...).

L'epoca direi sia quella moderna, niente ancora di fantascientifico, o quasi: in un laboratorio di Chimica/Medicina un giovane lavora ad una possibile cura contro l'Alzheimer, della quale malattia è affetto suo padre (guarda caso); gli esperimenti vengono condotti su scimpanzé e tutto sembra andare a gonfie vele. Ottenuti i primi risultati, accade però che uno dei pazienti abbia dei "side-effects", o effetti collaterali per cui tutto l'esperimento viene bocciato (l'azienda punta a fare soldi e non è disposta a continuare ad investirli senza un rientro sicuro).

Così inizia la storia che porterà Will (il protagonista) a compiere esperimenti privati con il virus da lui creato, sul padre, gravemente malato, e ad accudire un piccolo cucciolo di scimpanzé che né lui, né il suo collega (che altri non è che l'attore che interpretò "Sock" nella serie televisiva Reaper) ebbero il coraggio di sopprimere, in seguito alla chiusura dei lab e degli esperimenti.

Il succo della storia è che quel cucciolo di scimmia aveva ereditato dalla madre il virus sopracitato, derivandone un aumento delle facoltà cognitive che lo renderanno persino capace di condurre un esercito di suoi simili alla ricerca della libertà (per ora) e non solo....

Ciò che ho trovato affascinante è come viene resa l'immagine di queste scimmie, che (nonostante tutto) non hanno bisogno di parole per comunicare tra di loro e riescono a trasmettere delle sensazioni palpabili con i loro gesti, le urla, gli sguardi incredibilmente profondi; veramente ricca anche la simbologia della quale Ceaser (lo scimpanzé super dotato) fa uso per comunicare: molto bella la scena nella quale afferrà il "taser" (questo oggetto a forma di manganello, il quale provoca una scossa elettrica a contatto con altri oggetti) di uno dei suoi aguzzini e lo mostra in aria, alzando il braccio per testimoniare il potere conseguito; il contrasto più evidente si ha quando le scimmie chiedono il permesso agli umani o ad altri simili (se più potenti) per poter svolgere determinate azioni, offrendo il palmo della mano. Insomma, la distinzione tra uomini ed animali non è poi così netta come sembra, anzi: ripescando con la memoria gli eventi del primo titolo, si direbbe che le scimmie abbiano timore degli uomini, i quali sembrano gli unici a farsi la lotta tra di loro e ad essere persino capaci di distruggere il loro ambiente naturale perseguendo ambizioni di dominio.

Chissà, probabilmente le scimmmie non saranno mai il popolo più evoluto del Pianeta, ma gli animali tutti hanno qualcosa da insegnarci: sempre.