Erik Frank Russell, Galassia che vai, 1962

Continuando la serie di testi fantascientifici, questo è un altro libro notevole, uscito nel 1962 per opera di Erik Frank Russell, in cui una spedizione fa la conoscenza di vari mondi che hanno sviluppato propri modi di vivere.

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Grayder assentì e riprese l’interrogatorio: — Dunque, ci procurate il cibo cacciando?

— In buona parte. Le donne ne raccolgono un po’, dove lo trovano. Gli schiavi coltivano qualcosa, ma poca roba.

— Non sarebbe più sicuro e più facile produrlo sistematicamente, e su larga scala?

— Già, così appena è pronto viene un’incursione notturna e te lo soffiano! — osservò Alaman Tung, sprezzante. — Non siamo così tonti da coltivare la roba da mangiare per gli altri, noi! E poi, bisognerebbe lavorare.

— Non vi piace lavorare?

— Perché, a voi piace?

— Che c’è di male nel lavoro? — insistette Grayder.

— Tutto. Intanto, è stupido. E poi non è necessario, tranne che per i flessi. Perché lavorare, quando se ne può fare a meno?

Ignorando la questione, Grayder domandò: — È stato tuo padre a dirtelo?

— Sicuro. E a lui l’aveva detto il nonno. Tutta gente di cervello, capite? Per questo cacciaste dalla Terra i nostri antenati, perché avevano cervello. Gli altri lavoravano, e loro no. E agli altri non andava che i dritti gliela facessero in barba. E così pensarono bene di sbarazzarsene.

— Anche questo te l’ha raccontato tuo padre?

— Sono cose che sanno tutti — dichiarò Alaman, come se affermasse una verità incontrovertibile.

— Be’ — fece Grayder — visto che i vostri antenati erano così in gamba, come mai non sono stati loro a cacciare noi?

— Perché quelli come voi erano troppi. Sulla Terra i merli sono sempre stati più numerosi dei dritti.

— Io sarei un merlo? — s’informò incuriosito l’ambasciatore.

— Direi di sì — rispose Alaman. — L’aria ce l’hai.Scommetto che se trovassi qualcosa di valore che appartiene a un altro, correresti a restituirgliela.

— Certo che lo farei.

— Visto?

Seccato, l’ambasciatore replicò: — E perché non dovrei?

— Chi trova una cosa, se la tiene. È la ricompensa per quello che la trova, che ha dimostrato di avere testa, e il castigo di chi l’ha perduta, perché non ne ha. Voialtri mi pare che non capiate granché di giustizia.

— Se le rubassi gli abiti che indossa e il cibo che sta per mangiare, lo troverebbe giusto?

— Certo... Se tu fossi abbastanza in gamba da riuscirci e io tanto scemo da lasciartelo fare.

— E non farebbe niente per farmela pagare?

— Come no!

— Che cosa?

— Alla prima occasione tornerei a rubartelo, con in più qualcosa di tuo.

— E se l’occasione non venisse?

— Allora mi rifarei su qualche merlo più merlo di me.

— In altre parole — commentò l’ambasciatore — ciascuno per sé e il diavolo per ultimo?

— Cioè, i dritti per sé, e gli stupidi che s’impicchino. Non so cosa intendi con diavolo. È una parola che non conosco.

Visto che l’ambasciatore si dava per vinto, Grayder tornò alla carica: — Hai mai sentito parlare di Dio?

— Cosa sarebbe? — si informò Alaman, cascando dalle nuvole.

(...)

I presenti si scambiarono occhiate, poi Grayder riprese: — Ma senta, nessuno vi ha mai detto che il lavoro è una benedizione?

— Come no! Un tale che diceva di chiamarsi Samel il Santo. Lavorava come uno schiavo, e tutta la tenuta campava alle sue spalle. Era scemo dalla nascita, poveraccio.

— E come è finito?

— È crepato di fatica. Se non fosse stato matto, sarebbe vissuto di più, e in buona salute.