Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta

http://en.wikipedia.org/wiki/Zen_and_the_Art_of_Motorcycle_Maintenance

http://it.wikipedia.org/wiki/Lo_Zen_e_l%27arte_della_manutenzione_della_motocicletta

Nonostante il titolo suggerisca che si tratti di un libro a proposito di un approccio Zen alla prosaica attività di tenere a punto una motocicletta, il testo è fondamentalmente un libro filosofico, con qualche accenno a raccontare anche una storia.

L'autore è Robert M. Pirsig, il libro uscì nel 1974 dopo l'esperienza degli anni '60 e diventò un best-seller. E lo è tuttora. L'Adelphi, che pubblica questo testo, è arrivata alla ventitreesima edizione nel febbraio del 2010.

Data la natura più filosofica che narrativa dell'opera e dati i quesiti e le risposte che il testo pone, per scrivere una critica appena decente di questo libro mi vedo costretto a raccontarlo per sommi capi, cercando di coglierne il succo.

La trama

Il libro parla di un viaggio in motocicletta negli Stati Uniti, da Minneapolis alla California, di un ex professore universitario, il quale è anche un ex ospite di un manicomio. L'elettroshock ha creato in lui una nuova personalità e durante il viaggio cerca, con successo, di ricostruire la ricerca filosofica del suo vecchio Io.

La ricerca filosofica

Il pensiero filosofico del protagonista è tutta una riflessione sulla razionalità e sulla tecnologia, che nel pensiero occidentale vengono contrapposte alla sensibilità artistica e a quella religiosa. Dalla riflessione sulla razionalità si passa poi, attraverso degli excursus filosofici, alla questione della Qualità. Che cos'è la Qualità? Questo si chiede il professore di retorica. È qualcosa di oggettivo? E allora perché non si può misurare scientificamente? È un qualcosa di puramente soggettivo, e quindi, secondo il pensiero dominante, del tutto personale e in fin dei conti irrilevante?

Nella qualità il protagonista trova ciò che stava cercando: in buona sostanza la qualità precede e genera la divisione tra soggetto e oggetto, più o meno quello che gli orientali chiamano Tao, indefinibile per definizione.

Il professore scende quindi nell'arena accademica per difendere e portare avanti le sue idee, generando tutta una serie di inevitabili conflitti con gli epigoni di Platone e di Aristotele. La sua ossessione sfocia in follia, generata dal corto circuito logico dell'indefinibile per definizione.

Il suo scopo originario era quello di evitare una definizione della Qualità, ma nella lotta contro i dialettici ha fatto delle affermazioni, e ogni affermazione è stata un mattone in un muro di definizioni che lui stesso stava innalzando intorno alla Qualità. Tentare di sviluppare un sistema razionale intorno a una Qualità indefinita è contraddittorio. È l'idea stessa di sistema razionale a sconfiggere la Qualità. Tutto ciò che Fedro ha fatto è insensato; la usa era la missione di un pazzo.

Ecco quindi la pazzia e la rinuncia all'insegnamento e all'accademia, e il ripiego sugli hobby o su quei lavori manuali, come appunto la manutenzione della motocicletta, che pur essendo razionali non perdono la “Qualità”. Insomma, l'accademico ribelle scopre, dopo il Tao, l'artigianato.

Il perché di un successo strepitoso

Se un libro è un best-seller, c'è da chiedersi sempre il perché. Perché un libro che parla di filosofia occidentale e, in misura alquanto minore, orientale, e che aspira a niente meno che a colmare la distanza e la rottura tra Scienza, Arte e Religione, tra tecnologia e sensibilità, riesce a vendere milioni di copie? E se fosse davvero un libro capitale, perché il mondo non è appena un po' migliore di quanto lo era allora?

Evidentemente qualcosa non quadra. Le risposte date sono troppo facili e le domande non sono le domande giuste.

La questione della tecnologia è una questione della massima importanza. Lui la risolve in modo non scontato (affermando, come si fa solitamente, che “la tecnologia è neutrale”), ma non per questo meno banale agli effetti pratici. L'autore dice, in soldoni, che anche nella tecnologia risiede la Qualità, che l'attività analitica può, e anzi solitamente deriva, dalla qualità, che come abbiamo detto precede e genera la distinzione tra soggetto e oggetto. Quindi il mondo sarà migliore se e quando la Qualità sarà maggiormente presente nella tecnologia. Ossia, in altre parole, quando chi lavora con la tecnologia metterà il cuore in ciò che fa. Un abile saldatore può essere un artista. Anzi, indubbiamente lo è. Per chi come me ha passato qualche anno a studiare l'informatica, sarebbe un esercizio facile e tutto sommato divertente scrivere un libro intitolato Lo Zen e l'arte dell'amministrazione dei sistemi Unix. Forse qualcuno l'ha già scritto, vista l'enorme mole di cloni di questo libro. Wikipedia conta più di 200 libri intitolati Lo Zen e l'arte di.... Perché?

Semplicemente perché è troppo facile. Il Tao è ovunque. Amministrare un server può essere bello. Spazzare il pavimento anche. Pulire cessi può essere un'attività elegante ed essere un'arte. Lo Zen e l'arte di pulire i cessi. Già vedo il titolo, pubblicato magari dalla casa editrice Adelphi, con il suo look austero, a far bella mostra di sé negli scaffali delle librerie. Qualcuno lo deve pur fare, no? Tanto vale farlo bene, con buona volontà.

La qualità è, per forza di cose, presente in qualsiasi attività in cui una persona ci infonda passione. Supponiamo per un istante che tutti facciano ciò che fanno in modo migliore, mettendoci la dovuta dose di passione. Lo Zen e l'arte di essere un vigile urbano, Lo Zen e l'arte della delazione, Lo Zen e l'arte di leggere i bollettini di Borsa, la lista potrebbe essere infinita e riguardare veramente ogni attività umana, indiscriminatamente.

Qualcosa non quadra, è ovvio. Non quadra nemmeno la scrittura di questo libro. Se la manutenzione della motocicletta è così appagante e degna di essere compiuta, perché l'autore ha scelto invece di dedicarsi alla stesura di 400 pagine, che, nulla da obiettare, si leggono bene e non sono scontate? Non ha compiuto proprio ciò che Fedro, il protagonista, ha riconosciuto essere un vicolo cieco? Come nota a margine c'è da notare che il libro ha reso ricco il suo autore.

L'epigrafe d'apertura recita:

E ciò che è bene, Fedro, e ciò che non è bene — dobbiamo chiedere ad altri di dirci queste cose?

Già, ottima domanda e degna della massima attenzione. Come spesso accade, un libro interessante non è interessante per le risposte che propone, — e che l'autore indubbiamente offre — ma per le riflessioni che suscita.

Il libro risale agli anni '70. Gli hippy erano un fenomeno attuale. Alcuni personaggi stessi rispecchiano la loro opposizione alla tecnologia. La loro soluzione è indicata come un vicolo cieco. Eppure l'autore non si sforza troppo di trovare un'altra via che sappia lontanamente di liberazione. Guardando dei pendolari che il lunedì mattina si recano al lavoro:

«Ma sembrano così persi», dice lei «Come dei morti. Un corteo funebre». Poi posa entrambi i piedi a terra e ce li lascia.

Quel che vuol dire lo capisco, ma da un punto di vista logico che senso ha? Per vivere bisogna lavorare, e quella gente lo sta facendo. «Io guardavo le paludi» dico.

Esattamente. La cosa che colpisce di più è la seguente: com'è possibile che un “filosofo” (per quanto imbevuto fino al midollo di pragmatismo americano) che dedica così tanta attenzione a un'attività marginale come la manutenzione della motocicletta, non faccia un altro passo e si chieda il perché di quella gente che va al lavoro con una faccia da funerale? Lui che dubita di ogni cosa, perché non dubita della banale e micidiale affermazione “per vivere bisogna lavorare”? Per lo meno l'affermazione andrebbe corretta e risultare in tutta la sua brutalità: “per vivere sono costretti a lavorare, e quella gente lo sta facendo”. Dove sta la Qualità, o il Tao, o il Buddha, o quel che si vuole, in questo dominio? È davvero possibile conciliare lo Zen e qualunque attività? Torniamo a Lo Zen e l'arte di pulire i cessi: perché ciascuno semplicemente non pulisce la propria merda, sviluppando pure quest'arte semplice, ma indubbiamente necessaria?

Tornando alla motocicletta, l'autore la conosce ottimamente. Eppure non si pone il problema da dove vengano le decine di litri di benzina bruciate nelle migliaia di chilometri percorse in sella, visto che l'importante non è la meta, ma il viaggio. Se ogni cosa che viene fatta va fatta o andrebbe fatta tenendo in mente la Qualità, anche l'atto di rabboccare il serbatoio merita indubbiamente attenzione. Nonché il viaggio stesso. Perché lui sì, e gli altri cretini che vanno al lavoro no?

Altra perla, questa volta presa dalla postfazione:

È stato assassinato. [...] Secondo il racconto di alcuni testimoni, un'automobile accostò al marciapiede e ne saltarono giù due negri: uno gli arrivò alle spalle per bloccargli la fuga, e lo afferrò per le braccia; [...]

Quel “due negri” buttato là è indice di una mancata riflessione su ciò che si sta scrivendo e su come si sta pensando. Altro che Zen. Bisogna tornare alle cose basilari come il privilegio e il razzismo che deriva dal privilegio. Poteva affermare semplicemente, dando la stessa quantità di informazioni: “ne saltarono giù due sconosciuti”. Eppure egli dice, come se fosse una cosa importante, che erano due negri.

Tutta la parabola universitaria del protagonista non è servita a cogliere il punto della questione. Il punto non è tanto come si insegna. Certo, è importante, e le sue critiche al sistema universitario del periodo sono sicuramente valide. Ma non si chiede il perché si insegna e perché si insegna a certe persone, mentre ad altre no. Perché alcuni passano la loro vita dedicandosi alla ricerca filosofica, mentre altri devono sgobbare tutta la vita. Tutto ciò è assolutamente estraneo al nostro autore.

Mi pare che ora sia chiaro perché questo libro è un best-seller. Perché è scritto da un privilegiato che non mette in discussione il suo privilegio, come almeno gli hippy — da quanto ne so e da quanto egli stesso afferma — facevano, ed è diretto a privilegiati o presunti tali che possono cercare di fare ciò che fanno con più grinta, senza minimamente metterne in discussione i presupposti, le loro azioni e le loro conseguenze. Dà l'impressione di voler cambiare il mondo, quando in realtà non vuole cambiare e non cambia nulla. Tutto avanti come prima, meglio di prima. Con più convinzione. Chi è privilegiato a godere con spirito Zen dei propri privilegi, chi non lo è ad accontentarsi di ciò che fa con “grande pace interiore”.

E penso di non sbagliare pensando che proprio questo fatto sia ciò che dà tanta popolarità a discipline come lo yoga. Ma questa è un'altra storia.

— Marco