Reuben Fine: La Psicologia del Giocatore di Scacchi

Analisi psicologica di alcuni grandi Campioni e del loro intimo rapporto con il gioco

Il libro è strutturato in modo semplice: si parte da una introduzione sul gioco degli scacchi, accompagnata dalla presentazione di uno studio, condotto dai Russi alcuni anni prima della stesura del libro, riguardo la tematica principale che si sta per affrontare .. il ruolo degli scacchi nelle vite di chi li amati (coltivandoli spesso sino a farli diventare un'ossessione). Quindi si passano in rassegna le vite di 9 grandi giocatori (Howard Staunton, Adolf Anderssen, Paul Morphy, Wilhelm Steinitz, Emanuel Lasker, José Raǜl Capablanca, Alexandr Aleksandrovič Alekhin, Machgielis (Max) Euwe, Mikhail Moiseevič Botvinnik) e si arriva filati alle conclusioni. Rimane però ancora un po' di spazio alla fine del testo, dedicato ai due protagonisti del memorabile match mondiale del 1972 (quattro anni prima che Fine pubblicasse i suoi studi): Bobby Fischer e Boris Spasskij.

Dare un giudizio su di una materia che non si conosce è sicuramente cosa azzardata, tuttavia trovo che non sia molto edificante la teoria espressa nel libro: tutto ruota intorno alla figura del RE (che simboleggia il padre) e alla rincorsa alla sua uccisione (che significa anche vittoria nel gioco degli scacchi). Gli scacchi sono un gioco pacifico (del tutto intellettuale, che non prevede nemmeno il contatto fisico) capace allo stesso tempo di sprigionare le aggressività represse del giocatore, spesso frustrato nella vita reale ed alla ricerca di una rivincita del tutto personale... Di sicuro Fischer ne è l'esempio più illustre, date le sue difficoltà nell'infanzia, dovute all'abbandono da parte del padre ed alle contese con la madre, le quali sfociarono in un comportamento asociale e paranoico e ad un completo distacco dalla realtà (alla quale solo gli scacchi riuscirono a riavvicinarlo, paradossalmente). Tuttavia altri campioni rinomati hanno relegato gli scacchi al ruolo di semplice gioco della mente, senza esserne condizionati, nè aver sviluppato alcuna patologia come relazione: c'è chi vi ha dedicato tutta la vita, chi con caparbietà affermava di non averlo fatto e chi lo coltivava alla stregua degli altri interessi.

In definitiva il complesso di Edipo sembra farla da padrone nelle osservazioni di Fine e, secondo il mio modestissimo parere, le sue teorie, nonostante possano essere rilevanti considerate nel contesto storico, oggi hanno ben poco valore.